Novembre 2012

Ezequiel A. Jaroslavsky: 
Ci piacerebbe conoscere la vostra traiettoria scientífica e professionale. ¿Chi sono stati i suoi maestri e quali autori l’hanno influenzato particularmente?

Anna Nicolò: 

La mia carriera scientifica e professionale è stata per certi versi complicata. Ho iniziato la mia esperienza di lavoro all’Università , dove studiavo Medicina, e in particolare nel reparto di Psichiatria, dove ho avuto ,come maestri, importanti psicoanalisti. Dopo la laurea ho preso la mia specializzazione in Neuropsichiatria Infantile .Era il periodo in cui in Italia c’era un grande fermento politico, caratterizzato anche dalla “rivoluzione antipsichiatrica”, guidata dagli allievi di Franco Basaglia. Questo psichiatra italiano può essere considerato il fondatore della concezione moderna della salute mentale. Egli fu un riformatore e ispirò una Legge rivoluzionaria che impose la chiusura dei manicomi e istituì servizi di igiene mentale pubblici.
Eravamo negli anni Settanta, ed è proprio in risposta a questo fermento politico che ho iniziato ad occuparmi di psicoterapia familiare.

 

Anna Nicolò

Nello stesso tempo continuavo la mia formazione psicoanalitica, intrapresa all’università con la frequenza ai seminari di supervisione di Salomon Resnik , iniziando un’analisi personale in una prospettiva di training presso la Società psicoanalitica italiana . Così mentre mi coinvolgevo nei nuovi studi di terapia familiare,io avevo già iniziato la mia formazione in psicoanalisi, e al contempo ero impegnata a frequentare il Corso di psicoterapia Psicoanalitica del bambino e dell’adolescente Asne sipsia che aveva sede presso l’istituto di neuropsichiatria infantile dell’ Università di Roma. L’influenza winnicottiana così netta in questo corso, malgrado la mia lunga analisi kleiniana (il mio analista era un allievo di Esther Bick), si fece rapidamente sentire e mi influenzò nel profondo. Tra gli psicoanalisti che allora partecipavano attivamente e regolarmente alle attività cliniche e scientifiche del Corso vanno senz’altro ricordati C. Bollas e la F. Tustin, insieme ad altri eminenti psicoanalisti di fama internazionale.

Negli anni della mia specializzazione, ebbi grandi maestri, tra cui Andreas Giannakoulas che portava con sé tutta la tradizione winnicottiana londinese e Arnaldo Novelletto, che fu un maestro per me di Psicoanalisi dell’adolescente.
Ma studiavo in parallelo psicoterapia familiare,sospinta dalla necessità di dare una risposta, anche politica, ai bisogni dei pazienti.

Non posso neppure immaginare l’impegno intensissimo che caratterizzò i miei anni di formazione. Avevo un’enorme fame di letture , di studi , di esperienze e mi si era aperto un mondo incredibile per me che ero venuta dalla Calabria, una regione molto depressa dell’Italia del sud, ultima di quattro figli, tutti molto più grandi di me. Ero fin da piccola sola ,ma in compagnia di tanti adulti e dovevo sempre cercare di capire per stare al loro livello .

In quegli anni della specializzazione e dopo aver iniziato la mia analisi ,avevamo avviato con colleghi un gruppo di studio che aveva iniziato a riunirsi e ad organizzarsi all’interno di un Centro presso il quale accoglievamo i più grandi psicoterapeuti familiari dell’epoca: da Sluzky a Haley ,Watzlawick , Minuchin, e Framo.
Due psicoterapeuti , che incontrai in quel periodo nell’Istituto che avevamo fondato a Roma , furono Murray Bowen, che mi condusse agli studi sulla terapia trigenerazionale (è di Bowen la locuzione “ci vogliono tre generazioni per fare uno psicotico”, e ancora sono sue le definizioni di “massa indifferenziata dell’Io familiare” e di “differenziazione”) , Salvador Minuchin e Carl Whitacker.

Whitacker e Minuchin furono ospiti per molto tempo nell’Istituto di Psicoterapia Familiare di Roma, che dopo molte peripezie avevo fondato insieme a ad altri tre colleghi nel 1976. Withaker mi aveva molto colpito per la dimensione paradossale del suo lavoro e la sua capacità di usare la metafora.

Insieme ad altri , fondai in quegli anni anche la Società Italiana di Terapia Familiare e la rivista Terapia Familiare, che fu la prima rivista di questo genere in Europa.
Cominciammo ad essere abbastanza famosi nel mondo con la denominazione di “Scuola di Roma”. A quel tempo, ci occupavamo in particolare di famiglie gravi e, tra i terapeuti familiari ad orientamento sistemico, eravamo i più attenti alle influenze trigenerazionali e transgenerazionali ,senza trascurare le dinamiche individuali, di cui ero soprattutto io a portare avanti lo studio rappresentando già all’epoca l’ala più psicodinamica del gruppo. Fin da allora, l’aspetto che mi caratterizzava nel gruppo, era il tentativo di coniugare la psicoanalisi con il setting della famiglia e della coppia.

Motivata dai lavori di Bateson e dalle sedute di Withaker che avevo potuto vedere e seguire a Roma dietro lo specchio o nel contesto terapeutico con lui,uno dei primi lavori fu nel ‘76, “L’uso della metafora in terapia familiare” ( pubblicato in “Therapie familiale” e portato da me a Buenos Aires in occasione di due conferenze che feci per la appena costituita società di terapia familiare argentina). In questo articolo trapelavano palesemente le mie radici psicoanalitiche e si poteva vedere in nuce quello che sarebbe stato il mio sviluppo professionale futuro. La metafora era fin da allora vista come un veicolo di mediazione tra più livelli della mente e tra lo psicoterapeuta , il paziente e la famiglia.

Molti i colleghi giovani e non più giovani che venivano presso la Scuola Romana di via Reno a lavorare con noi e molti gli istituti e le associazioni che erano fondati da nostri allievi.
Portammo avanti questo orientamento finché, alcuni anni dopo, arrivò quasi inevitabile la rottura nella “ Scuola di Roma”, proprio a causa dell’incompatibilità che tra noi fondatori esisteva sia sul piano teorico che clinico, da una parte la psicoanalista ,io e dall’altra i sistemici.
Dopo il primo libro, che realizzammo insieme e che fu tradotto in molte lingue,” Behind the family mask” (la versione spagnola portava il titolo Detras de la mascara familiar), ci separammo. Le divergenze teoriche, cliniche e personali erano ormai non superabili .

Nel frattempo ero divenuta membro associato della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) e quindi dell’International Psychoanalytic Association (IPA). Avevo effettuato supervisioni con molteplici e preziosi maestri. Devo ricordare che nella mia formazione personale mi sono giovata all’inizio anche di un precoce lavoro di analisi di gruppo con un analista del Karen Horney Institute e infine di un’altra analisi, seppur breve, per elaborare la mia separazione coniugale con un’altra psicoanalista di origine cilena, la dr.ssa Bon De Matte.

In questi anni si moltiplicavano le mie esperienze cliniche con i pazienti , adulti, adolescenti, bambini , con famiglie e coppie nei servizi di salute pubblica e nelle comunità terapeutiche e anche come supervisore in istituzioni pubbliche e private.
Il corso di Psicoterapia psicoanalitica del bambino e dell’adolescente Asne sipsia , dove mi ero formata come psicoterapeuta di bambini e adolescenti e che oggi ha aggiunto al suo nome quello di “centro winnicott” mi diede, tra le altre cose, l’opportunità di contattare importanti psicoanalisti di bambini e adolescenti. Di questa scuola divenni abbastanza presto segretario scientifico.

In quel periodo , l’incontro con Egle Laufer, è stato molto significativo per me perché mi permise di conoscere da vicino un modello di psicoanalisi che si ispirava ad Anna Freud, ma che veniva “ricreato” in modo geniale dai Laufer. Negli anni ho sempre proseguito il mio lavoro di psicoanalista di adolescenti, lavoro che mi ha portato a studiare e lavorare in questo ambito e a diventare per un lungo periodo Chair del forum di psicoanalisi dell’adolescenza della FEP,Federazione Europea di Psicoanalisi

Nel frattempo mi ero anche sposata e mi erano nati due figli: Alessandro e Marinella . Credo che questa è stata l’esperienza più travolgente della mia vita . La mia seconda ( o prima ?) passione.
Ormai il mio lavoro come psicoanalista era abbastanza definito, fondai perciò insieme ad altri colleghi un gruppo che si occupava di Psicoanalisi familiare ed una rivista, che proprio quest’anno, nel 2012, compie vent’anni e che decisi di chiamare “Interazioni. Clinica e ricerca psicoanalitica nell’individuo, coppia e famiglia”.
Interazioni è stata un progetto per me molto importante, che mi ha permesso di conoscere ed ospitare articoli di autori, significativi.
Facevamo continuamente uno sforzo di aprire il pubblico italiano ad una conoscenza più approfondita della psicoanalisi familiare e di coppia , ma l’intento era anche più audace. La mia rivista si chiamava Interazioni perché già nei primi anni ’90 noi iniziavamo ad occuparci di interazioni laddove in Italia, ma più in generale in tutta Europa, parlare di interazioni veniva sentito ancora come qualcosa di anti-psicoanalitico.

Da questo punto di vista, Interazioni può essere considerata una rivista antesignana, che ha precorso i tempi:. Ci siamo occupati di questa prospettiva – assolutamente innovativa all’epoca – che prevedeva non solo lo studio e l’approfondimento del mondo intrapsichico dell’individuo, ma l’osservazione del rapporto tra l’individuo e la famiglia, tra un individuo ed un altro individuo. Assumere e mantenere questa prospettiva è stato spesso difficile perché venivamo considerati “estranei”; io, in particolare, sapevo di essere considerata “non ortodossa” sia agli occhi degli psicoanalisti più classici – quantunque la mia formazione analitica fosse articolata e profonda – sia agli occhi degli psicoterapeuti familiari sistemici, perché continuavo ad insistere sulla necessità di studiare il rapporto tra l’intrapsichico e l’interpersonale.

Questo è sempre stato il mio focus di osservazione nel setting con la coppia e la famiglia : lo studio e l’osservazione delle relazioni tra il sé e l’altro da sé , tra il mondo interno dell’individuo e il mondo fantasmatico della famiglia. Questo è stato quello che potrei definire l’interesse che non ho mai perduto, cercando in vari contesti possibili risposte a questo mio interrogativo.

 

Guardandomi indietro, credo di poter senza alcun dubbio affermare che mi accompagnava sempre passione , curiosità e ansia della ricerca .Tentare di capire i pazienti mi spingeva ad impiegare sempre più tempo ed energie. La psicoanalisi, il lavoro con gli adolescenti e i pazienti gravi, lo studio della relazione umana, della coppia e della famiglia, sono state le grandi strade della mia vita professionale ed ho sempre di più cercato di approfondirle, imparando soprattutto dai miei pazienti, e dal confronto con gruppi di colleghi con i quali c’è stata e c’è una stimolazione reciproca alla crescita.
Non so quanti nomi dovrei citare qui tra i miei compagni di viaggio : Tavazza, Lucarelli, Norsa e molti altri .

Con una collega napoletana, Gemma Trapanese, organizzai il primo convegno internazionale di Psicoanalisi della coppia e della famiglia che si chiamava, per l’appunto, “Quale psicoanalisi per la coppia e per la famiglia?”, che fu tenuto nel 2000 a Napoli. Questo convegno, vide riuniti molti psicoanalisti della coppia e della famiglia dell’epoca, tra cui i Losso, gli Scharff, Eiguer e molti altri. Qualche anno dopo, con Eiguer, Loncan, Granjon, Tavazza, Lucarelli, Scharff , Losso, Jaroslavsky e altri fondammo a Montreal l’aipcf, l’associazione internazionale di psicoanalisi della coppia e della famiglia, e all’interno di questa associazione fui eletta nel comitato direttivo con il compito di interessarmi delle pubblicazioni dell’Associazione. Insieme con altri, decidemmo così di dar vita alla Rivista dell’associazione che ha iniziato le sue pubblicazioni in Internet e di cui sono stata il primo direttore scientifico .

Graciela V. Consoli:
¿Cosa ha definito il suo interesse per gli adolescenti, la coppia e la famiglia?

Anna Nicoló 
La risposta a questa domanda può essere particolarmente complessa. Da una parte mi sembra che l’adolescenza è una fase particolare della vita. Ricordo la frase della Kestemberg” Tutto si prepara nell’infanzia ,ma tutto si gioca in adolescenza”. L’adolescenza è una sorta di enzima che agisce nella mente e influenza lo sviluppo ulteriore della personalità, ma è anche il momento dove abbiamo più chances di cambiamento se sappiamo lavorare bene. E perciò lavorare in adolescenza significa lavorare con prospettive migliori intorno al futuro del paziente .
Il lavoro con le patologie gravi ha poi reso inevitabile l’intervento con le coppie genitoriali e le famiglie, contesti di cui mi ero all’inizio interessata per ragioni politiche e sociali

Il mio interesse per gli adolescenti nasceva da questo tentativo di chiarire i confini, i limiti, le interazioni, le intersezioni tra l’individuo e l’ambiente in cui vive. L’adolescenza è il periodo della vita in cui, a mio avviso, meglio si possono studiare questi aspetti, perché l’adolescente cimenta il mondo che lo circonda, con il suo continuo spostamento da una dimensione familiare originaria e, quindi, dai suoi oggetti parentali primitivi al bisogno di investire nuovi oggetti, che possono essere nuovi compagni, nuovi gruppi, nuovi partner. Più in generale, l’adolescente mette continuamente in atto uno spostamento sostanziale verso la conoscenza dell’ “altro da sé”, primo tra tutti, il nuovo se stesso che è in via di costituzione.

Graciela V. Consoli
¿Come è stato il processo per il quale la sua perspettiva sitémica é cambiata a quella psicoanalitica nel lavoro di psicoterapia delle famiglie e le coppie?

Anna Nicoló:
Ciò che ha determinato il mio passaggio da una psicoterapia sistemica ad un lavoro di psicoanalisi familiare e di coppia credo sia stata la constatazione di come la psicoterapia sistemica, per quanto potesse rappresentare all’epoca una sfida teorica stimolante – rappresenti un lavoro che, a mio avviso, si rivela povero sul piano della comprensione della complessità del mondo fantasmatico familiare.
Alla fine esso si rivela insufficiente nella comprensione del problema che sottende la patologia e schematico nella sua tecnica.

Il lavoro sulla famiglia e sulla coppia , se escludiamo gli interventi più semplici sui conflitti educativi o sulle separazioni, necessita di un intervento sulle fantasie inconsce condivise dal gruppo familiare, sui legami co- costruiti, sui miti, sul sogno nella famiglia e nella coppia, per dire alcune delle cose di cui io mi sono più interessata nel mio lavoro.

Devo riconoscere, però, che tutti i maestri che hanno caratterizzato il mio primo studio di terapia familiare di fatto hanno attuato una rivoluzione all’epoca perché si sono opposti alla psicoanalisi americana che era all’epoca ,rigida, ortodossa, una psicoanalisi in cui l’analista era uno specchio non partecipe, in cui non era considerata la presenza della persona dell’analista con tutta la sua ricchezza sul piano della relazione terapeutica. Era una psicoanalisi – che non aveva ancora accolto, e apprezzato il pensiero di Bion o di Winnicott.

Era, quindi, inevitabile che io lasciassi questa prospettiva sistemica, che pur avevo promosso, influenzata anche dal fervente clima politico del periodo. Per farlo ebbi la necessità di fare un atto di coraggio, considerando anche la posizione pioneristica in cui l’occasione del momento mi aveva collocato.

Ezequiel A. Jaroslavsky:
¿Quali sono le tematiche di cui ne ha interesse attualmente?

Anna Nicoló: 
Non credo che oggi, a distanza di tanti ’anni, io abbia molto cambiato il nucleo del mio interesse principale.
Vent’anni fa sulla mia rivista Interazioni scrivevo che “l’altro è sempre presente nella vita psichica dell’individuo” e che “una proficua fonte di ricerca è lo studio delle interazioni tra l’individuo e la matrice relazionale che lo comprende”. Scrivevo che “il luogo che meglio permette di studiare questi processi è la coppia terapeutica, quella coniugale e la famiglia. Il focus sulle interazioni, sul rapporto tra intrapsichico e interpersonale lo possiamo considerare – scrivevo vent’anni fa – un’innovativa prospettiva di osservazione e una vera e propria metodologia di lavoro”. Penso che potrei sottoscrivere ancora oggi queste parole e anche se molti studi sono stati condotti sulle interazioni, sulla natura delle interazioni, sulla differenza tra le interazioni,Legami e relazioni.

Altri studi oggi riscoprono nelle interazioni memorie antiche, quello che Bollas potrebbe chiamare un “conosciuto non pensato” cioè delle tracce di memorie arcaiche non simbolizzate, o non simbolizzabili. Anche gli adolescenti gravi come i borderline o i breakdown evolutivi e le loro famiglie e i genitori sono un campo rilevante del mio lavoro clinico.
Nelle situazioni più gravi e sempre in comunità terapeutica , intervengo con quella che io chiamo una terapia integrata, ovvero con un progetto terapeutico che consenta di portare avanti un lavoro contemporaneo con l’adolescente e con la sua famiglia, in setting separati, gestiti in genere da due analisti differenti, che, però, si impegnano a trovare una possibilità di integrazione reciproca all’interno di un terzo setting. Questo terzo setting consente, a mio avviso, di integrare l’intrapsichico del paziente con l’interpersonale della famiglia e quindi – poiché io credo che queste patologie siano in realtà espressione di un’organizzazione traumatica di legami – di integrare gli aspetti scissi, rigettati del paziente e agiti nella famiglia e gli aspetti transgenerazionali, che molto spesso determinano delle intrusioni massive, delle identificazioni alienanti e viceversa, di permettere alla famiglia di riprendere i propri aspetti rigettati e scissi di cui il paziente è stato il portaparola o il portavoce.

Ezequiel A. Jaroslavsky:
¿Pensa che nell’attualitá le patologie sono diverse di quelle descritte da Sigmund Freud? ¿Come pensa che influenzino i cambiamenti che si son dati nella familia en nella societá?

Anna Nicoló: 
Assistiamo infatti a vere epidemie di malattie che riguardano il corpo, dalle anoressie, alle obesità ai disturbi alimentari per non parlare del particolare fenomeno che è costituito dall’uso di internet nelle sue più varie manifestazioni: dal partecipare a scenari complessi come second life, fino agli scambi virtuali sempre più frequenti che costituiscono una parte rilevante della vita relazionale dell’adolescente. Internet, video-giochi, chat, blog sono caratterizzati dalla presenza virtuale dell’altro. In queste esperienze il corpo proprio e dell’altro, esperito realmente, non esiste ed è sostituito da altre comunicazioni che assumono spesso un carattere feticistico.
Il moltiplicarsi di queste esperienze ha il fine di coprire un vuoto del sé e della propria esistenza e di dribblare con un’identità fittizia il compito angosciante di esistere realmente e soggettivarsi. Questi fenomeni sono la punta di un problema molto più ampio che trova nell’adolescenza la sua cartina di tornasole e che attengono alla attuale complessità dell’integrazione del corpo nel processo di soggettivazione di ciascuno di noi, all’instabilità della nostra identità che moltiplica angosciosamente la ricerca di sostituti di essa, o attraverso attività surrettizie e agiti che agiscono sul corpo o attraverso il corpo.
François Richard (2011) chiama questo tipo di patologie che caratterizzano gli adolescenti oggi, “patologie dell’esternalizzazione”. Dovremmo invece considerarle piuttosto patologie dell’interiorità, indice di un collasso simbolico che usa come difesa l’esternalizzare. Gli adolescenti sono ancora una volta da questo punto di vista gli indicatori più evidenti di un disagio più ampio che non riguarda solo questa età della vita.
Questo aggrapparsi al corpo esprime l’aggrapparsi all’ultimo baluardo per costituire un’identità che oggi cimentata da molteplici attacchi: dal cambiamento della forma famiglia, dalla rimessa in discussione dell’identità di genere, dall’improvviso apparire di differenti forme di identità , anche cibernetica.
Ferme restando le mie perplessità verso spiegazioni psicoanalitiche di fenomeni sociali, che a mio avviso necessitano di strumenti differenti, tuttavia non possiamo fare a meno di notare oggi la rimessa in discussione della funzione del padre.
Ci troviamo di fronte a padri-non padri che possono prendere differenti fisionomie, possono annullarsi nelle loro compagne o deridere e sentire derisa la necessità di rappresentare il limite, la legge , la castrazione. Alla base di queste nuove fisionomie vi è certamente il bisogno di definire nuove identità, ma la strada si sta attualmente facendo.

Graciela Consoli:
Finalmente ¿che pensa del psicoanalisis e del suo futuro? Incluso anche il psicoanalisi di coppia e di famiglia

Anna Nicoló:
Credo fermamente che la psicoanalisi rimanga ancora oggi una metodologia di lavoro e un modello della mente assolutamente valido e per questo motivo ritengo che non possiamo dubitare del futuro della psicoanalisi. Essa fa parte della nostra cultura ed è diventata uno strumento ed una metodologia capillarmente diffusa: oggi la psicoanalisi viene utilizzata da moltissimi gruppi, moltissimi istituti, moltissimi centri, moltissime società, a volte in modo approssimativo, a volte in modo più corretto. Credo che oggi il problema non sia della psicoanalisi come scienza in sé, ma dell’esistenza di istituzioni psicoanalitiche che soffrono una crisi al loro interno, una crisi di vocazione, una crisi di candidati, una crisi di assenza dalle università o dalle strutture pubbliche o una crisi legata ad un invecchiamento degli psicoanalisti. Questa è una questione abbastanza grave e rilevante; quello a cui stiamo assistendo in questo momento è una situazione di crisi mentre a volte altre modeli e altre istituzioni derubano la psicoanalisi e la usano alterandola o deformandola. Questo è un problema che sta assumendo proporzioni preoccupanti e che dobbiamo “attrezzarci a fronteggiare”, una realtà da cui dobbiamo difenderci, ma che ci può aiutare a cambiare . Io sono convinta che la psicoanalisi, malgrado tutto, rivela una straordinaria capacità di mantenersi giovane, di mantenersi curiosa verso nuove ricerche e di mantenersi straordinaria soprattutto nella sua applicazione clinica..

Per quanto riguarda la psicoanalisi della coppia e della famiglia che è uno dei temi della vostra rivista , dobbiamo riconoscere che per quanto questo approccio abbia radici antiche, ha ancora bisogno di essere approfondito. Se è vero che probabilmente coloro che studiano questi settings , debbono portare le nostre ricerche dentro i contesti più ufficiali, è anche vero che la realtà che noi studiamo è talmente complessa che necessita ancora di lavoro, di scoperte , di riflessioni ulteriori e sempre più approfondite.

Graciela Consoli
Ezequiel A. Jaroslavsky

Cara Anna vi ringraziamo tantissimo la vostra disposizione e l’onestà per rispondere le nostre domande. Aver fatto questa intervista é stato gradevole e sicuramente i nostri lettori sapranno goderla.